Chiamato quaranta anni fa arteriosclerosi celebrale, poi Alzheimer, ora decadimento cognitivo, in realtà il decadimento nell’anzianità può assumere percorsi molto diversi per età di insorgenza, sintomi e velocità di evoluzione, essendo una patologia sostenuta da cause diverse e talvolta concomitanti.
Può manifestarsi con la difficoltà di ritrovare oggetti ripetutamente perduti (occhiali, chiavi, borse etc.), o con la difficoltà di ricordare percorsi spaziali, visi, nomi, rapporti genealogici, giorni della settimana, stagioni, etc.
Il decadimento della capacità di memoria può fermarsi alla smemoratezza benigna, maggiormente evidente verso il pomeriggio-sera, comunque resa meno disturbante con vari accorgimenti atti a favorire la memorizzazione, inducendo maggiore attenzione, come ad esempio scrivendo (biglietti, lavagne, etc.).
In altri casi, invece, ad iniziale deficit della memoria attentiva seguirà inesorabile il decadimento della memoria del “fare”, del tempo e dello spazio, in progressivo, rallentabile ma non recuperabile, decadimento cognitivo. Questo stato, che può ulteriormente complicarsi ed aggravarsi per concomitante umore depressivo, deve indurre non la critica, ma la comprensione e il supporto costante di coloro che vengono deputati all’attività assistenziale. Essere la “protesi” per funzioni mentali che il paziente non ha più richiede capacità empatiche, costanza, adattabilità, rispetto.
L’uso dei farmaci (stabilizzatori dell’umore, tranquillanti, ansiolitici, etc., oltre ai nuovi presidi agonisti dell’acetilcolina per ostacolare la perdita della memoria, talvolta antidepressivi), in equilibrio con eventuali altre concomitanti necessità cliniche (cardiocircolatori, antidiabetici, ipotensivi) può, con aggiustamenti frequenti in relazione alla velocità del decadimento, permettere di contrastare la sofferenza del paziente bersagliato da false convinzioni, panico, allucinazioni, eccitamento, rabbia, umiliazione, spaesamento.