Assistenti:
Dott.ssa Lucia Pozzi
Il servizio di Psicogeriatria della Casa di Cura “Le Betulle” tratta le patologie neuropsichiatriche dell’anziano da alcuni decenni con successo, avendo potenziato gli strumenti diagnostici a disposizione e arricchito l’équipe di figure professionali polispecialistiche (radiologo, cardiologo, internista, urologo, fisiatra etc.).
Tutto ciò ha permesso l’elaborazione di percorsi terapeutici anche complessi, capaci di proteggere da interazioni dannose tra farmaci, e l’utilizzo di tecniche riabilitative specifiche.
Durante il periodo di ricovero, che a seconda della necessità può essere di breve, medio o lungo termine, il paziente viene seguito da un’équipe di specialisti, coordinati dal direttore del Servizio, al fine di:
- approfondire la conoscenza del disturbo mentale del paziente e le sue cause;
- eseguire un completo check-up delle condizioni fisiche;
- intraprendere una corretta terapia farmacologica integrata, psichiatrica e internistica, con un attento monitoraggio degli eventuali effetti collaterali;
- quando necessario fornire un’adeguata assistenza, calibrata rispetto alle necessità, nelle attività quotidiane e nella cura della propria persona (paziente non autosufficiente, paziente allettato, depressioni gravi).
Dopo il ricovero le cure possono continuare in regime ambulatoriale, attraverso visite periodiche psichiatriche e internistiche, oppure nei casi nei quali sia necessario, la famiglia potrà essere aiutata a trovare adeguate soluzioni di lungodegenza.
Le patologie principali delle quali ci si occupa sono: le Sindromi Ansioso-Depressive dell’anziano, i Disturbi Psicotici, i Disturbi Comportamentali correlati ad un iniziale Decadimento Cognitivo, le Demenze.
Per informazioni, per appuntamenti o ricoveri rivolgersi ai Dott.ri Angelo e Stefano Oliva (cell. 348/8446006) e Dott.ssa Lucia Pozzi, telefonando al centralino della Casa di Cura Le Betulle: 031/973311.
PSICOPATOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
Pur essendo soggettivamente più o meno problematico per ciascuno di noi accettare il proprio corpo, caratterizzato da un funzionamento peculiare secondo “periodi” diversificabili tra loro (gioventù – maturità – anzianità) e per un tempo a disposizione comunque a termine, appare evidente come soprattutto nell’ultimo dei “periodi” (quello dell’anzianità) ciascuno trovi impigliati nella propria rete esistenziale residui delle pregresse personali evenienze psico–emotive e somatiche filtrati dal proprio stile di vita e dal patrimonio genetico.
Ciò rende l’anzianità, al contrario di ciò che comunemente si pensa, una fase della vita che manifesta profonde diversificazioni tra gli appartenenti anagrafici, pur se partecipi di medesime culture ed età.
Pertanto è utile approcciare il tema dell’anzianità liberandoci da preconcetti generalistici, utilizzando capacità d’osservazione accurata.
In primo luogo è evidente che il numero di anni non è di per sé indicativo di quasi nulla, poiché in giro per il mondo viaggiano ottantenni sanissimi, mentre in residenze protette spesso sono rinchiusi già sessantenni.
Questo stato di base ricertifica come in nessun altro periodo di vita siano evidenti differenziazioni così ampie.
Pertanto, se da una parte la lunghezza maggiore del tempo di vita ha esposto ad una maggior probabilità di evenienze traumatiche, ha pure permesso un tempo maggiore per la maturazione di capacità strategiche ad affrontarle.
Il tutto naturalmente mediato ed influenzato da quelle risorse psicofisiche presenti nella curva declinante dell’età secondo caratteristiche di personalità geneticamente ed educativamente acquisite.
Tutto ciò rende ragione dell’ ampia differenziazione anche dei quadri di sofferenza psicopatologica.
C’è la personalità che ha ben previsto le “regole del gioco” dell’esistenza e si aspetta l’incontro con il proprio invecchiamento cercando di attrezzarsi adattativamente.
C’è, invece, chi davanti all’insorgenza di difficoltà di memoria o precoce affaticabilità soffre di ansia panica e depressione, innescando spesso comportamenti nuovi di fuga dai propri ruoli sociali nel tentativo di proteggersi dall’intollerabile frustrazione esibitoria.
Lo spaesamento depressivo che ne consegue a circolo vizioso aggraverà inevitabilmente i deficit prestazionali.
La capacità autosservativa dell’anziano, inoltre, assieme alle competenze culturali e alle conoscenze acquisite nell’aver dovuto prestare assistenza ad un genitore, parente, amico, spesso permette che venga elaborata anche un’autodiagnosi, talvolta errata per ansia ipocondriaca o per preconcetti culturali .
A ciò conseguirà una cascata emotiva fortemente influenzata dalla personale caratterialità: potrà venire richiesta consulenza specialistica per raggiungere una diagnosi definitiva ma potrà venir anche mascherato il quadro sintomatologico con l’inevitabile conseguenza però di modifiche del proprio comportamento: introverso scontroso, dipendente, depresso.
Queste considerazioni rafforzano la necessità di prestare attenzione nel costruire una efficace relazione atta a meglio approfondire il sospetto diagnostico senza sollevare inutili allarmismi così come a permettere la migliore alleanza lungo il periodo terapeutico e di recupero riabilitativo.
Va sempre tenuto presente che il protagonista di questo cammino (dopo un ictus, un infarto miocardico, un intervento chirurgico demolitivo, una malattia infettiva o dismetabolica severa) è fornito di risorse psico–emotive stressate e molto variabili per quantità ed efficienza: queste risorse vanno così evidenziate, supportate con rispetto, incoraggiate, motivate, soprattutto quando la persona anziana davanti alla novità della nuova esperienza inquietante, drammatizzata talvolta dall’osservazione della propria irreversibile mutilazione, entra in uno stato emotivo di blocco da ansia, disperazione, depressione.
Oltre alle esperienza del proprio decadere e dell’incontro con più forme di patologie del corpo, nell’anzianità si può fare evidente anche l’esperienza della progressiva perdita affettiva per l’allontanamento di figli cresciuti o di cari che muoiono.
Il progressivo isolamento che ne deriva, il mancato riconoscimento di sé da parte di chi non c’è più, possono indurre risposte psico-emotive svariate e talvolta di difficile decodifica diagnostica: uno stato depressivo molto spesso mascherato da continue lamentele per dolori, malfunzionamenti d’organi incomprensibili, ansietà mal giustificata, allarmi di genere vario, isolamento e perdita di peso corporeo, talvolta allarmante per temuta patologia tumorale sottostante, spesso invece semplicemente in evidente parallelismo con la perdita di peso sociale.
L’ insorgenza, talvolta evidente, talvolta mascherata dai sintomi somatici di cui sopra, di uno stato depressivo del tono dell’umore suggerisce la necessità di un lavoro clinico multispecialistico da parte di coloro che si occupano di una persona anziana spesso pluri problematica.
A questi sanitari sarà necessaria la capacità di produrre, dopo la diagnosi, un progetto terapeutico senza conflitti interni, evitando di valorizzare fasulle priorità di necessità d’”organo” senza rispettare invece la visione globale della qualità della vita possibile, vero obiettivo da centrare.
Anche in queste evenienze un buon lavoro clinico multidisciplinare armonizzato può recuperare senza troppe lentezze e disagi il sotterraneo “bandolo della matassa”.
Più complesso è il tema della progressiva emergenza di disturbi della ideazione con scambi tra il reale e il sognato, mancati riconoscimenti delle persone o dei luoghi della quotidianità, richieste perentorie o supplichevoli di “tornare a casa” evocative di un mondo di personale normalità perduta.
Frequenti sono pure le bizzarrie comportamentali, inversione del ritmo notte – giorno, allarmi persecutori, ossessiva necessità di controllo d’ogni gestualità, rivendicazione inesausta.
Il “cambio di carattere” talvolta così sorprendente è spesso il segno di un drammatico fallimento del personale processo adattativo all’invecchiamento.
Ricostruire i deragliamenti innescati lungo il percorso di vita a seguito di incontri stressanti per multiformi evenienze è spesso un lavoro complesso in cui sono preziosi tutti, dal paziente stesso ai famigliari e ai sanitari.
Non è certo possibile “tornare in dietro” ma davanti alla sofferenza è responsabilità umana, affettiva e “tecnica”, non accettare una visione fatalistica passiva spesso solo fatta di ignoranti luoghi comuni inducenti tentativi talvolta anche maldestri di solo mascheramento (psico-farmacologico) dei sintomi.
E’ possibile invece quasi sempre tessere un percorso affettivo, assistenziale e talvolta clinico, in grado di permettere la valorizzazione delle risorse ancora disponibili, liberandole da patologie inibenti e annebbianti per indurre nell’anziano in difficoltà una quotidianità di vita ancora il meglio possibile significativa della propria individualità, valore, anche nell’inevitabile decadimento, da rispettare fermamente.
APPROFONDIMENTI