Psicogeriatria

Introduzione

Il servizio di Psicogeriatria della Casa di Cura “Le Betulle” tratta le patologie neuropsichiatriche dell’anziano da alcuni decenni con successo, avendo potenziato gli strumenti diagnostici a disposizione e arricchito l’équipe di figure professionali polispecialistiche (radiologo, cardiologo, internista, urologo, fisiatra etc.).

Tutto ciò ha permesso l’elaborazione di percorsi terapeutici anche complessi, capaci di proteggere da interazioni dannose tra farmaci, e l’utilizzo di tecniche riabilitative specifiche.

Durante il periodo di ricovero, che a seconda della necessità può essere di breve, medio o lungo termine, il paziente viene seguito da un’équipe di specialisti, coordinati dal direttore del Servizio, al fine di:

  • approfondire la conoscenza del disturbo mentale del paziente e le sue cause;
  • eseguire un completo check-up delle condizioni fisiche;
  • intraprendere una corretta terapia farmacologica integrata, psichiatrica e internistica, con un attento monitoraggio degli eventuali effetti collaterali;
  • quando necessario fornire un’adeguata assistenza, calibrata rispetto alle necessità, nelle attività quotidiane e nella cura della propria persona (paziente non autosufficiente, paziente allettato, depressioni gravi).

Dopo il ricovero le cure possono continuare in regime ambulatoriale, attraverso visite periodiche psichiatriche e internistiche, oppure nei casi nei quali sia necessario, la famiglia potrà essere aiutata a trovare adeguate soluzioni di lungodegenza.

Le patologie principali delle quali ci si occupa sono: le Sindromi Ansioso-Depressive dell’anziano, i Disturbi Psicotici, i Disturbi Comportamentali correlati ad un iniziale Decadimento Cognitivo, le Demenze.

Per informazioni, per appuntamenti o ricoveri rivolgersi ai Dott.ri Angelo e Stefano Oliva (cell. 348/8446006) e Dott.ssa Lucia Pozzi, telefonando al centralino della Casa di Cura Le Betulle: 031/973311.

Psicopatologia dell'invecchiamento

Pur essendo soggettivamente più o meno problematico per ciascuno di noi accettare il proprio corpo, caratterizzato da un funzionamento peculiare secondo “periodi” diversificabili tra loro (gioventù – maturità – anzianità) e per un tempo a disposizione comunque a termine, appare evidente come soprattutto nell’ultimo dei “periodi” (quello dell’anzianità) ciascuno trovi impigliati nella propria rete esistenziale residui delle pregresse personali evenienze psico–emotive e somatiche filtrati dal proprio stile di vita e dal patrimonio genetico.

Ciò rende l’anzianità, al contrario di ciò che comunemente si pensa, una fase della vita che manifesta profonde diversificazioni tra gli appartenenti anagrafici, pur se partecipi di medesime culture ed età.

Pertanto è utile approcciare il tema dell’anzianità liberandoci da preconcetti generalistici, utilizzando capacità d’osservazione accurata.

In primo luogo è evidente che il numero di anni non è di per sé indicativo di quasi nulla, poiché in giro per il mondo viaggiano ottantenni sanissimi, mentre in residenze protette spesso sono rinchiusi già sessantenni.

Questo stato di base ricertifica come in nessun altro periodo di vita siano evidenti differenziazioni così ampie.

Pertanto, se da una parte la lunghezza maggiore del tempo di vita ha esposto ad una maggior probabilità di evenienze traumatiche, ha pure permesso un tempo maggiore per la maturazione di capacità strategiche ad affrontarle.

Il tutto naturalmente mediato ed influenzato da quelle risorse psicofisiche presenti nella curva declinante dell’età secondo caratteristiche di personalità geneticamente ed educativamente acquisite.

Tutto ciò rende ragione dell’ ampia differenziazione anche dei quadri di sofferenza psicopatologica.

C’è la personalità che ha ben previsto le “regole del gioco” dell’esistenza e si aspetta l’incontro con il proprio invecchiamento cercando di attrezzarsi adattativamente.

C’è, invece, chi davanti all’insorgenza di difficoltà di memoria o precoce affaticabilità soffre di ansia panica e depressione, innescando spesso comportamenti nuovi di fuga dai propri ruoli sociali nel tentativo di proteggersi dall’intollerabile frustrazione esibitoria.

Lo spaesamento depressivo che ne consegue a circolo vizioso aggraverà inevitabilmente i deficit prestazionali.

La capacità autosservativa dell’anziano, inoltre, assieme alle competenze culturali e alle conoscenze acquisite nell’aver dovuto prestare assistenza ad un genitore, parente, amico, spesso permette che venga elaborata anche un’autodiagnosi, talvolta errata per ansia ipocondriaca o per preconcetti culturali .

A ciò conseguirà una cascata emotiva fortemente influenzata dalla personale caratterialità: potrà venire richiesta consulenza specialistica per raggiungere una diagnosi definitiva ma potrà venir anche mascherato il quadro sintomatologico con l’inevitabile conseguenza però di modifiche del proprio comportamento: introverso scontroso, dipendente, depresso.

Queste considerazioni rafforzano la necessità di prestare attenzione nel costruire una efficace relazione atta a meglio approfondire il sospetto diagnostico senza sollevare inutili allarmismi così come a permettere la migliore alleanza lungo il periodo terapeutico e di recupero riabilitativo.

Va sempre tenuto presente che il protagonista di questo cammino (dopo un ictus, un infarto miocardico, un intervento chirurgico demolitivo, una malattia infettiva o dismetabolica severa) è fornito di risorse psico–emotive stressate e molto variabili per quantità ed efficienza: queste risorse vanno così evidenziate, supportate con rispetto, incoraggiate, motivate, soprattutto quando la persona anziana davanti alla novità della nuova esperienza inquietante, drammatizzata talvolta dall’osservazione della propria irreversibile mutilazione, entra in uno stato emotivo di blocco da ansia, disperazione, depressione.

Oltre alle esperienza del proprio decadere e dell’incontro con più forme di patologie del corpo, nell’anzianità si può fare evidente anche l’esperienza della progressiva perdita affettiva per l’allontanamento di figli cresciuti o di cari che muoiono.

Il progressivo isolamento che ne deriva, il mancato riconoscimento di sé da parte di chi non c’è più, possono indurre risposte psico-emotive svariate e talvolta di difficile decodifica diagnostica: uno stato depressivo molto spesso mascherato da continue lamentele per dolori, malfunzionamenti d’organi incomprensibili, ansietà mal giustificata, allarmi di genere vario, isolamento e perdita di peso corporeo, talvolta allarmante per temuta patologia tumorale sottostante, spesso invece semplicemente in evidente parallelismo con la perdita di peso sociale.

L’ insorgenza, talvolta evidente, talvolta mascherata dai sintomi somatici di cui sopra, di uno stato depressivo del tono dell’umore suggerisce la necessità di un lavoro clinico multispecialistico da parte di coloro che si occupano di una persona anziana spesso pluri problematica.

A questi sanitari sarà necessaria la capacità di produrre, dopo la diagnosi, un progetto terapeutico senza conflitti interni, evitando di valorizzare fasulle priorità di necessità d’”organo” senza rispettare invece la visione globale della qualità della vita possibile, vero obiettivo da centrare.

Anche in queste evenienze un buon lavoro clinico multidisciplinare armonizzato può recuperare senza troppe lentezze e disagi il sotterraneo “bandolo della matassa”.

Più complesso è il tema della progressiva emergenza di disturbi della ideazione con scambi tra il reale e il sognato, mancati riconoscimenti delle persone o dei luoghi della quotidianità, richieste perentorie o supplichevoli di “tornare a casa” evocative di un mondo di personale normalità perduta.

Frequenti sono pure le bizzarrie comportamentali, inversione del ritmo notte – giorno, allarmi persecutori, ossessiva necessità di controllo d’ogni gestualità, rivendicazione inesausta.

Il “cambio di carattere” talvolta così sorprendente è spesso il segno di un drammatico fallimento del personale processo adattativo all’invecchiamento.

Ricostruire i deragliamenti innescati lungo il percorso di vita a seguito di incontri stressanti per multiformi evenienze è spesso un lavoro complesso in cui sono preziosi tutti, dal paziente stesso ai famigliari e ai sanitari.

Non è certo possibile “tornare in dietro” ma davanti alla sofferenza è responsabilità umana, affettiva e “tecnica”, non accettare una visione fatalistica passiva spesso solo fatta di ignoranti luoghi comuni inducenti tentativi talvolta anche maldestri di solo mascheramento (psico-farmacologico) dei sintomi.

E’ possibile invece quasi sempre tessere un percorso affettivo, assistenziale e talvolta clinico, in grado di permettere la valorizzazione delle risorse ancora disponibili, liberandole da patologie inibenti e annebbianti per indurre nell’anziano in difficoltà una quotidianità di vita ancora il meglio possibile significativa della propria individualità, valore, anche nell’inevitabile decadimento, da rispettare fermamente.

Le statistiche segnalano che oltre al periodo intorno alla post–adolescenza vi è un secondo picco depressivo attorno all’età del pensionamento: in realtà questa malattia, che ha molte facce ed è indotta da molte cause non sempre note ed evidenti, induce spesso un problema di cattiva diagnosi.

Mancanza di sonno adeguato, preoccupazioni eccessive e con argomenti talvolta poco comprensibili, allarmi per dubbi sulla salute oltre la logica, affaticabilità, mancanza d’iniziativa, cambio di carattere per instabilità, sospettosità, gelosia, inappetenza e perdita di peso; golosità avida per i cibi dolci, commozione esagerata, dolori insopportabili in sedi atipiche, palpitazioni di cuore, tendenza a evitare l’incontro e il dialogo con gli altri; questi i sintomi tra i più frequenti, talvolta però accompagnati o sostituiti da altri ancora più particolari e “mascheranti” lo stato psichico patologico sottostante.

Va ricordato che l’anziano è più abituato a lamentarsi di uno stato depressivo utilizzando sintomi che si riferiscono al corpo, essendo spesso intimidito a parlare di sé.

Tra le cause note che possono aver indotto uno stato depressivo, vanno ricordati i lutti, soprattutto non recenti, i cambi di residenza, la fine dell’attività lavorativa, l’uscita dei figli dalla casa genitoriale che si è svuotata, l’incontro con malattie invalidanti, l’osservazione umiliante per l’evidenza del personale decadimento (perdita della memoria, orientamento, ruolo sociale, forza fisica, etc.).

Il terapeuta deve essere accurato nel formulare una corretta diagnosi, cui conseguirà una altrettanto adeguata terapia, evitando così di tralasciare fatalisticamente l’intervento sanitario per aver confuso i sintomi depressivi con quelli di un esordio di demenza: i due approcci terapeutici sono, infatti, totalmente differenti, così come differenti i percorsi e la prognosi.

Attualmente sono a disposizione del clinico diversi farmaci che, accanto ad un adeguato supporto psicologico e nel rispetto di concomitanti eventuali altre patologie e della complessiva fragilità dell’anziano, rendono prospettabile una efficace guarigione dalla depressione.

Chiamato quaranta anni fa arteriosclerosi celebrale, poi Alzheimer, ora decadimento cognitivo, in realtà il decadimento nell’anzianità può assumere percorsi molto diversi per età di insorgenza, sintomi e velocità di evoluzione, essendo una patologia sostenuta da cause diverse e talvolta concomitanti.

Può manifestarsi con la difficoltà di ritrovare oggetti ripetutamente perduti (occhiali, chiavi, borse etc.), o con la difficoltà di ricordare percorsi spaziali, visi, nomi, rapporti genealogici, giorni della settimana, stagioni, etc.

Il decadimento della capacità di memoria può fermarsi alla smemoratezza benigna, maggiormente evidente verso il pomeriggio-sera, comunque resa meno disturbante con vari accorgimenti atti a favorire la memorizzazione, inducendo maggiore attenzione, come ad esempio scrivendo (biglietti, lavagne, etc.).

In altri casi, invece, ad iniziale deficit della memoria attentiva seguirà inesorabile il decadimento della memoria del “fare”, del tempo e dello spazio, in progressivo, rallentabile ma non recuperabile, decadimento cognitivo. Questo stato, che può ulteriormente complicarsi ed aggravarsi per concomitante umore depressivo, deve indurre non la critica, ma la comprensione e il supporto costante di coloro che vengono deputati all’attività assistenziale. Essere la “protesi” per funzioni mentali che il paziente non ha più richiede capacità empatiche, costanza, adattabilità, rispetto.

L’uso dei farmaci (stabilizzatori dell’umore, tranquillanti, ansiolitici, etc., oltre ai nuovi presidi agonisti dell’acetilcolina per ostacolare la perdita della memoria, talvolta antidepressivi), in equilibrio con eventuali altre concomitanti necessità cliniche (cardiocircolatori, antidiabetici, ipotensivi) può, con aggiustamenti frequenti in relazione alla velocità del decadimento, permettere di contrastare la sofferenza del paziente bersagliato da false convinzioni, panico, allucinazioni, eccitamento, rabbia, umiliazione, spaesamento.

Talvolta, senza che ci sia concomitante involuzione cognitiva o stato depressivo dell’umore, si sviluppa nella mente dell’anziano un pensiero patologico di cui è vittima in quanto incapace di critica. Il più delle volte si tratta di convinzioni persecutorie (essere oggetto di furti, ridicolizzazioni, dispetti, maldicenze e gelosie).

La prescrizione dei farmaci è molto ostacolata dal diniego del paziente che non concorda con la diagnosi di disturbo dell’ideazione e quindi non aderisce all’assunzione di terapia.

D’altra parte i “sedativi maggiori” utili in questi casi (neurolettici) possono essere induttori di varie problematiche fisiche che ulteriormente allarmano il già sospettoso paziente.

Anche qui resta fondamentale la capacità del terapeuta di scegliere il farmaco e la dose meglio tollerata cercando di guadagnare e mantenere il meglio possibile la fiducia del paziente.

Malattia di antichissima codifica (già i medici dell’antica Grecia l’avevano descritta), spesso si manifesta in anni precedenti quelli dell’anzianità, tuttavia il disturbo bipolare può in alcuni casi esordire solo nell’età tardiva, forse come espressione di un danno (vascolare, traumatico o dismetabolico) localizzato in specifiche aree cerebrali.

L’esordio rapido di uno stato di eccitamento e/o depressivo spesso induce un grave errore diagnostico per confusione con una iniziale demenza: errore grave perché alla diagnosi errata conseguirà terapia inadatta, con inevitabile reattività del paziente, che si sentirà gestito in modo custodialistico, mal capito e non creduto, avendo a propria disposizione un’intelligenza osservativa integra.

I circoli viziosi che si possono innescare sono di facile intuizione quanto, talvolta, di drammatica conseguenza.

Non sempre il classico sale di litio è di facile e consigliabile somministrazione (spesso per problemi renali, intestino irritabile, disturbi tiroidei).

Esistono però oggi molti altri stabilizzatori dell’umore efficaci, discretamente tollerati e che non comportano, solitamente, aggravi metabolici significativi.

D’altra parte va tenuto presente che in una persona anziana già fragile periodi di grande tempesta emotiva sono di per sé causa di gravi stress psico-organici che possono indurre infarti miocardici, ictus ipertensivi, abbandono di concomitanti terapie antidiabetiche, traumi, incidenti, autolesionismi.

Pertanto ad una corretta diagnosi è necessario far seguire un’adeguata terapia impostata sulle “misure cliniche” del paziente, sollecitando grande attenzione da parte di chi presta assistenza, potendo ogni disturbo bipolare modificarsi talvolta con repentina velocità, rendendo necessaria una continua variazione della terapia.

Particolare attenzione va prestata al paziente in “fase mista” perché affetto da contemporanea presenza di sintomi eccitanti e temi depressivi che suscitano il più profondo disagio emotivo.

Diabete, artrosi, esiti di fratture non ben ricomposte, disturbi da pregressi interventi chirurgici, difficoltà a digerire, intestino pigro e/o irritabile, incontro con sintomi minori e allarmanti in attesa di diagnosi.

Molte sono le evenienze possibili e che talvolta si affastellano tra loro: questi “incontri” in parte evidenziano la personalità, il carattere che l’anziano si è formato lungo il percorso della propria esistenza.

Il carattere, strumento fondamentale più ancora dell’ intelligenza e cultura, può rivelarsi una risorsa di fondamentale utilità o un limite talvolta così grave da inficiare ogni intervento di aiuto.

E’ pressoché irrealistico pensare di “rieducare” un anziano, anche se talvolta parenti, assistenti e medici investono enormi quantità di energia in un progetto che per lo più li divorerà senza produrre alcun vantaggio, talvolta anzi suscitando reazioni anche molto “cattive”, da frustrazione per sentimenti di impotenza.

Capacità non così diffusa è invece quella di portare in evidenza le risorse costruttive disponibili e con queste e vari accorgimenti strategici cercare di strutturare un percorso di accudimento e terapia che sappia mediare tra necessità talvolta contrastanti tra loro (pigrizia e necessità di fisioterapia, golosità impulsiva e diabete, bisogno di essere in primo piano nell’animo di figli e badanti, ma abuso intossicante della loro pazienza, necessità di uso stabile di farmaci per dosi e orari e assunzioni a casaccio, ripetute e/o dimenticate).

Molti problemi apparentemente misteriosi e preoccupanti si chiariscono durante un ricovero, quando il paziente osservato in continuità manifesta, oltre ai bisogni da patologie, il carattere con cui affronta la propria quotidianità.

Questo talvolta è il problema dei problemi, e l’arte terapeutica assistenziale è qui messa a dura prova o molto valorizzata.

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